Vini dolci e a tendenza dolce: perché non tutti gli zuccheri sono uguali

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Vini dolci e a tendenza dolce: perché non tutti gli zuccheri sono uguali
Uno degli errori (e degli orrori) più comuni nell’approccio al vino, è quello di stappare una bella bottiglia di spumante Brut accanto al dolce. Niente di più sbagliato: l’abbinamento gastronomico di fine pasto prevede un accompagnamento per assonanza, non per contrasto. A cibo dolce corrisponderà vino dolce, non vino secco. A meno che non siate così masochisti da volere che gli zuccheri preponderanti della pietanza vi lascino in bocca una sgradevole sensazione metallica. È perciò importante saper distinguere i vini dolci da quelli secchi e, ancor di più, da quelli con tendenza dolce. Parliamo, infatti, di due cose diverse, riconducibili a bottiglie spesso molto differenti tra loro. Partiamo dai vini dolci, che a loro volta si distinguono in diverse categorie. Quelli più conosciuti sono gli spumanti. Non quelli Brut cui accennavamo poco fa, ma quelli – per l’appunto – dolci, vale a dire con un’aggiunta di residuo zuccherino pari a 50 grammi per ogni litro durante la seconda fermentazione (quella che produce le bollicine). Continuiamo poi con un prodotto tipico italiano, il Barolo Chinato, un vino aromatizzato cui vengono aggiunti zucchero e spezie come il cardamomo e la genziana. È ancora l’Italia a portare sulle nostre tavole un altro vino dolce, il Vermut (o Vermouth, in grafia francese), dove troviamo zucchero e i più svariati aromi, dai fiori di camomilla alla cannella, dalla china al melograno, dall’aloe alla maggiorana. Cos’hanno in comune tutti questi vini? L’aggiunta successiva di zucchero. Negli spumanti dolci, come nel Barolo Chinato e nel Vermut, infatti, la dolcezza è data proprio dal successivo addizionamento di zucchero, regolamentato per legge a seconda del prodotto che si vorrà tirar fuori dalla cantina. Ciò che accomuna tutti questi vini è proprio ciò che li differenzia dai loro “cugini” a tendenza dolce. Questi ultimi, infatti, non vengono toccati da un solo grammo di zucchero. Tutto il dolce presente in queste bottiglie è frutto di processi che nascono in vigna e terminano in cantina, senza passare per l’addizionamento. Esistono vini “classici” come il Primitivo di Manduria, che per l’alto grado zuccherino concentrato naturalmente nelle uve di provenienza, presenta un marcato sentore di dolcezza, sia al naso che al palato. Ci sono poi i vini passiti che, a differenza del Barolo Chinato o del Vermut, non vengono aromatizzati successivamente alla fermentazione alcolica, ma vengono interessati da un differente processo di vinificazione, che parte dall’utilizzo di uve appassite (e quindi dal maggior grado zuccherino, dato che l’uva più è matura, più presenta zuccheri nella sua buccia e nella sua polpa) lavorate in ambienti ben areati, che ne favoriscono lo sprigionamento di aromi naturali. Altro grande prodotto italiano di questa tipologia è il Vinsanto toscano, anch’esso prodotto dalle vinacce appassite e lasciate a riposare su stuoie. Va da sé che non stiamo parlando di graduatorie: i vini dolci non sono meglio di quelli a tendenza dolce, né tanto meno il contrario. Parliamo semplicemente di due tipologie diverse, utilizzate per scopi simili, come l’abbinamento al dolce.

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