Le parole sono importanti, e nel caso del vino fanno spesso la differenza. In Italia, in particolare, esistono svariati vitigni, denominazioni di origine controllata, zone e sottozone vocate alla coltivazione di una determinata uva, metodi di lavorazione, vinificazione e affinamento che sono un vero patrimonio mondiale dell’umanità. Proprio per questo bisogna saper distinguere le parole che troviamo scritte su un’etichetta. Uno stesso vino, come ad esempio il Nobile di Montepulciano, potrà essere commercializzato sia nella sua versione “base” che nella versione Riserva. Cosa significa Riserva? Semplice da definire: un vino può dirsi tale quando è stato invecchiato per almeno due anni in più rispetto alla sua versione base – nel caso dei rossi – e almeno un anno in più nel caso dei bianchi. Un vino Riserva è quindi un vino Doc o Docg che segue uno specifico disciplinare di produzione e deve attenersi a rigide regole di controllo e lavorazione se vuole mantenere questa dicitura. Le Riserve sono affinate in botti di legno – spesso viene utilizzata la barrique da 225 litri – che conferiscono a questi vini i tipici sentori terziari che vanno dalla vaniglia al cacao, dalle spezie al tostato, fino ad arrivare alla liquirizia, al cuoio e alla cannella. Esistono poi altri due termini che, in genere, troviamo su vini di particolare pregio (e che a volte possono anche accompagnarsi alla dicitura Riserva): Classico e Superiore. Nel primo caso, quello del Classico, parliamo di un vino prodotto nella zona più antica del disciplinare di riferimento. Più facile da spiegare con un esempio che attraverso la pura teoria: pensiamo al Chianti, che si distingue in Chianti e Chianti Classico. Quest’ultimo vino è prodotto nella zona storica del Chianti, quella definita nel 1716 dal Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici, che stabilì i confini di produzione di questo celeberrimo vino, tutt’oggi rispettati. Tutte le bottiglie prodotte nel Chianti, ma al di fuori di questo storico areale di produzione, non possono fregiarsi del titolo di “Classico”, dovendo così “accontentarsi” della sola dicitura Chianti in etichetta. Infine: il Superiore. Non parliamo di una menzione che indica un vino di qualità maggiore rispetto alla versione base, ma di una bottiglia che presenta una gradazione alcolica superiore – ecco il motivo – di almeno un grado rispetto al disciplinare di riferimento. Tutte e tre le definizioni, come accennato, si riferiscono a vini Doc e Docg (non applicabile, quindi, agli Igt), che ne arricchiscono così le proprietà gustative e organolettiche.