Partiamo quindi da una definizione: i solfiti non sono altro che sostanze chimiche utilizzate nell’industria agroalimentare come conservanti. Una parola che, negli anni, ha assunto un significato negativo, tanto è vero che dire di un prodotto alimentare che è senza conservanti denota un valore aggiunto.
I solfiti sono però sostanze chimiche del tutto naturali. Sì: perché già al momento della fermentazione alcolica, e quindi nella trasformazione del mosto in vino, una certa quantità di solfiti si produce di per sé, senza alcun intervento enologico esterno. È per questo che, anche in quei vini che si definiscono come “naturali”, troviamo la scritta “senza solfiti aggiunti”: semplicemente perché un vino senza solfiti non esiste. Non sarebbe un vino.
In generale, i solfiti sono indispensabili affinché una bottiglia di vino riesca a resistere nel tempo. Decenni interi, nel caso di vini rossi particolarmente strutturati come un Brunello di Montalcino o un Barolo. Questo grazie alle loro proprietà antimicrobiche e antiossidanti, vale a dire la capacità di conservare inalterata la qualità di un prodotto nel tempo.
Data la loro natura di conservanti, seppur naturali, la normativa italiana prevede che ogni bottiglia di vino rechi la scritta “contiene solfiti”, pur non provocando, questi ultimi, reazioni gravi tipici degli allergeni, come shock anafilattici e affini. L’effetto collaterale più comune è il tipico mal di testa che può afferrarvi dopo una serata di bevute: ma questo è un effetto collaterale di cui è vittima chi beve in quantità eccessive o smodate.